Il Festival Gourmet di St Moritz ed. 2016 è stato dedicato interamente al Giappone e inaugurato la sera del 25 gennaio con l’elegante evento “Grand Julius Bar Opening” svoltosi al Kempinski Grand Hotel des Bains. Nove eccezionali Master Chef giapponesi, ospit
i dei più prestigiosi Hotel di St Moritz affiancando i loro executive Chef, hanno messo a disposizione il loro talento e la loro importante esperienza.
Ho avuto il piacere di intervistare quattro di queste star.
Il primo incontro è quello con Nobuyuki Matsuhisa, meglio conosciuto come Nobu, co-fondatore e master sushi chef della nota catena Nobu con cucina fusion giappo-peruviana. Lo chef vanta un impero di 29 ristoranti in 5 continenti diversi costruito insieme al noto attore Robert De Niro nell’arco di 20 anni.
Nato e cresciuto in Giappone Nobu studia per diventare Chef e trova il suo primo lavoro in un ristorante di Tokyo all’ età di 18 anni. A 24 anni apre il suo primo ristorante in Perù, paese che lo affascinava. La difficoltà in questo paese a reperire gli ingredienti della cucina tradizionale giapponese lo ha spinto a conoscere, sperimentare e osare materie prime estranee al suo palato e ha voluto definire la sua nuova impresa culinaria “courageous food”.
Dopo tre anni si sposta in Argentina e successivamente rientra in Giappone. La sua “Sehnsucht” verso il lontano, verso lo sconosciuto lo portano ad accettare la proposta di aprire un ristorante giapponese in partnership in Alaska. Dopo altri nove anni, apre un sushi restaurant a Los Angeles. E’ in questa citta che riscopre il suo vero stile, fatto di tradizione giapponese e influenze peruviane. Ed è qui che Robert De Niro lo trova, si innamora della sua cucina al punto da proporgli di aprire un ristorante in società a New York. Ci vorranno quattro anni prima che Nobu si decida ad accettare tale proposta. Nel 1994 Nobu e De Niro aprono Nobu New York. Ed è solo l’inizio, a seguire nel corso degli anni vengono inaugurati altri Nobu: Dubai, Cape Town, Manila, Mexico City, Budapest, Mosca, Milano e altre importanti città del mondo.
Lo attendo nel lounge bar del Badrutts Palace, non si fa aspettare molto pur essendo una star.
Si presenta con un look molto casual e ci chiede se la sua t-shirt grigia sia appropriata per l’intervista.
Si siede al tavolo e dichiara:
“Sono pronto” e nel frattempo firma i menu che gli hanno portato e che deve siglare.
ale “Mi trovo di fronte ad un grande imprenditore di successo. Cosa conta di più nel suo lavoro? Essere un bravo business man o un creativo in cucina”?
N “Credo che l’aspetto imprenditoriale abbia la sua importanza, per cui risponderei che possiamo dire il 70% la creatività e il 30% la conoscenza del business.
Vede, la cucina rappresenta tutta la mia vita, la mia “anima” e dicendomi questo porta una mano al cuore.
N “ Io cucino prima con il cuore e poi con la mente”
ale “Crede di avere questo amore da sempre”?
N “Da quando io posso ricordare. Credo che sia un amore aumentato nel corso degli anni grazie ai viaggi che ho fatto. Viaggiare è necessario per uno come me e per chi ama cucinare. Ogni paese che ho visitato mi ha regalato colori, sa
pori, gusti diversi. Io amo sperimentare, mischiare gli ingredienti che provengono da paesi lontani, se sai valorizzarli talvolta si ottengono risultati culinari sorprendenti .
ale ”Riesce a pensare ad un piatto buono ma anche sano?
Di questi tempi si è cosi attenti al benessere fisico e la cucina giapponese sembra poter coniugare gusto e leggerezza, forse le faccio una domanda scontata”
N ”Ho trascorso molto tempo a Los Angeles, dove lei sa che ho aperto un Nobu. Ecco, gli americani sono i piu attenti a questo aspetto. Ci tengono al benessere fisico, alla loro forma, a tutto cio che riguarda l’estetica. Penso che questo sia il giusto approccio al cibo, condivido la necessità di ricercare in un piatto sapore e genuinità. Vengo da paesi in cui l’agricoltura è stata la fonte principale di approvvigionamento. Cucino tanto pesce. Tutti i miei piatti sono fatti per chi persegue la via del buono e sano”
ale ”C’è qualcosa che non perdona ai suoi collaboratori in cucina? Qualche errore che fanno e che lei non tollera?”
N ”Io vedo l’errore come un’opportunità. Se qualcuno sbaglia e riconosce l’errore e sa ascoltare, ascoltare con il cuore quello che io ho da insegnare e da correggere, allora non esiste errore. Laddove cucini con passione allora vai avanti. Io credo di essere arrivato dove sono ora imparando dai miei errori, restando sempre però determinato, affrontando ogni giorno nuove “sfide” e quando i toni sembrano esser diventati troppo seri Nobu fa una piccola pausa e poi riprende “Ci vuole passione nel mio mestiere, cucinare è come fare l’ amore con una bella donna”.
ale”Mi direbbe da dove trae tutta la sua energia? Cosa continua a motivarla, a darle soddisfazione . Cosa le piace, cosa la diverte?”
N ”Amo moltissimo osservare la gente che pranza o cena nei miei ristoranti, cerco di capire se sorride, se è felice, mi piace sentire che le persone parlano e ridono a tavola. Consumare cibo in compagnia deve essere un momento di gioia condivisa, non sopporto il silenzio tra i commensali, mi mette tristezza. Il sottofondo del brusio di voci e risa è meglio di qualsiasi altra colonna sonora musicale. E’ questa la mia vera fonte di energia, il pubblico ai miei tavoli”.
ale ”So che lei ha recitato in alcuni film americani. In una seconda vita sarebbe cuoco o attore?”
Sorride e mi risponde:
N ”Sarei un pittore. L’attività del cuoco è creativa alla pari di quella di un pittore. In cucina mischio anche io i colori e disegno ricette che poi sul piatto possono spesso essere belle da vedere e carpire l’attenzione come un bellissimo dipinto”.
ale ”E cosa pensa invece della moda? Crede che giochi un ruolo importante nel mondo Gourmet o almeno nel suo mondo? Nobu Milano si trova all’interno dello store di uno dei colossi della Moda, Mr Giorgio Armani ed è un luogo molto elegante, inoltre tanti milanesi fashion victims amano il cibo giapponese ”.
N ”Il mondo della moda mi piace. Nobu a Milano rispecchia il mio genere e il mio stile per il ristorante ideale: sofisticato e semplice, puro ed elegante, cosi il mondo fashion di Armani ha incontrato il design tradizionale giapponese. E a proposito dei milanesi, posso dire di essere stato io a portare a loro il vero sushi”.
ale ”Sa preparare piatti italiani?”
N ”Si. Un piatto che preparo spesso sono gli spaghetti ai funghi. Faccio saltare i funghi in padella con poco olio, aglio, spezie, e poi aggiungo della salsa di pomodoro, faccio amalgamare i sapori e poi verso gli spaghetti”.
ale ”Ha un punto debole?”
N “No, nessuno”
Mi congedo, Nobu è molto impegnato, deve organizzare la sua Gourmet Dinner per il Festival.
Il secondo chef che incontro è Hiroki Yoshitake, questa volta siamo al Carlton St Moritz, dove Hiroki cucinerà insieme all’Executive chef svizzero Gero Porstein.
Titolare e cuoco del ristorante stellato parigino “Sola” (“Cielo” in giapponese), Hiroki ha saputo creare una cucina sofisticata e e delicata, che si distingue per un magico incrocio amoroso tra prodotti di terra francese e profumi del Giappone, un esempio è il suo foie gras marinato al miso e vino bianco, caramellizzato allo zucchero di canna.
Arriva direttamente dalla cucina con il grembiule, un po’ scapigliato. Non parla inglese, solo francese, sembra un po’ imbarazzato.
Ale ”Buongiorno, le fa piacere rilasciare un‘intervista?”
H ”Non mi piace molto l’attenzione” , si siede sul divano e mantiene lo sguardo volto verso il basso.
Ale ”Come ha deciso di diventare cuoco?”
H ”Da bambino guardavo un programma di cucina su Fuji TV, c‘era un cuoco chiamato Iron Chef che in diretta affettava i calamari vivi, ne ero molto affascinato e cosi pensavo che da grande avrei voluto fare lo chef. E appena ho potuto,dopo il diploma, sono andato nel suo ristorante per chiedere di lavorare al suo fianco e mi ha preso come aiutante. Ero felicissimo. Ma dopo qualche anno ho voluto viaggiare e visitare altri paesi, come il Vietnam, l’India, l’Africa”.
ale”Pero ’ ha scelto Parigi come meta finale. Perche’? Lei ha avuto anche opportunità di lavorare in altre città asiatiche ma ha scelto la capitale francese”.
H ”Io amo Parigi, amo la cucina francese e amo soprattutto il modo di pensare che c’è. A Parigi uno Chef è rispettato, considerato, ha il giusto spazio per esprimere al meglio la sua creatività, è libero.
In Giappone non è proprio cosi. Ho avuto anche un’importante esperienza a Singapore, dove mi avevano chiamato per essere partner di un ristorante ma sono fuggito. I clienti chiedevano i loro piatti con arroganza e si aspettavano di essere serviti velocemente con le portate che vedevano disegnate nei menu, a loro non importava di assaggiare una ricetta speciale o irripetibile, per loro la creatività non aveva nulla a che vedere con il rito del mangiare, mentre per me è tutto”.
ale ”E’ vero che gira in Scooter per le strade di Parigi per andare a fare la spesa?”
H ”Si. Non ho molto tempo e con il motorino raggiungo varie parti della città, dove mi aspettano i miei fornitori, ai quali per il momento sono fedele. Però a volte cambio giro e faccio visita ai mercati locali, dove mi può capitare di trovare delle verdure nuove, allora le porto al ristorante e le provo subito”.
ale”I suoi clienti sono più parigini o turisti?”
H ”Direi 60% parigini e il 40% viene da altre parti. Fortunatamente il nome del mio ristorante ha fatto il giro del mondo “.
Ale ”Cosa pensa del Gourmet Festival di St. Moritz? Si sta divertendo?”
H ”Trovo che sia una bella iniziativa, soprattutto per il mio staff che mi ha aiutato a organizzare e preparare tutto, per loro è un’esperienza importante che sono felice di condividere. C’e’ molta frenesia in cucina anche se siamo tutti un po’ stanchi, reduci da una settimana molto intensa, per seguire il ristorante a Parigi e seguire tutti preparativi per venire a St. Moritz. Ma siamo molto contenti”.
ale ”C’è qualcosa che non le piace vedere in cucina, che reputa un grave errore, quasi imperdonabile?”
H ”Mi è capitato di vedere tagliare una cipolla, è stata presa la quantità che serviva e il resto buttato via. Lo spreco per me è un gesto grave, intollerabile. Non bisognerebbe mai buttare via il cibo, bisogna imparare a conservare ciò che non si usa nell’immediato per riutilizzarlo successivamente nel modo più appropriato”.
ale ”Cosa pensa delle stelle Michelin? Vorrebbe prenderne un’altra?”
H “Io non sono molto interessato ai premi e ai riconoscimenti. Il mio ristorante è al completo tutti i giorni ed è questo che conta per me. Non mi importa di avere due stelle Michelin se poi i tavoli sono vuoti. Non crede sia meglio nessuna stella ma il ristorante pieno?”, i suoi occhi sembrano riempirsi di orgoglio, mi ha appena detto che Sola è sempre pieno.
ale”Sarebbe in grado di riconoscere in pochi minuti chi tra un gruppo di aspiranti cuochi sarebbe un valido collaboratore del suo staff osservando come cucina o come si muove?”
H ”Le rispondo con un esempio. Io ora sto bevendo una spremuta d’arancia , è quasi terminata. Il primo ad ordinare per me un’altra spremuta prima che finisca, ecco lui sarebbe la mia scelta. Sceglierei quella persona perché mi ha dimostrato di essere attenta al servizio e al dettaglio. Per me è fondamentale”.
G” Cosa si cucina quando è da solo a casa?”
ride
H ”Non mi cucino mai, non ho tempo, devo pensare a cosa cucinare per la mia clientela, cosa comprare, non c’è tempo per me”
ale”a un punto debole in cucina che ci vuole confessare?”
H ”No, non ne ho”
Mi congedo, contenta che Hiroky sia comunqe riuscito a uscire dalla sua timidezza.
Il terzo Chef che vado a trovare è Kei Kobayashi. Nato da una famiglia di chefs, all’età di 21 anni Key si trasferisce in Francia, dove per sette anni lavora al fianco di Alain Ducasse.
Nel 2011 apre il suo ristorante Kei in Coq Heron Street a Parigi, location che rispecchia totalmente la sua personalità, una zona tranquilla in uno spazio incantevole. La sua cucina esprime un’incredibile armonia di gusto e colori perché rispetta rigorosamente la stagionalità.
L’incontro è previsto nella hall del Kronenhof Hotel di Pontresina a pochi km da St. Moritz. La responsabile delle pr mi viene a prendere “Lo chef è molto impegnato, le dispiace se l’intervista la facciamo in cucina?”
Cosi mi dirigo nella sua “comfort zone” e tra il rumore di pentole dietro i piani lavoro lo scorgiamo davanti a una grossa casseruola mentre parla con il suo staff.
Mi dicono che lui non ha tanta voglia di parlare, cosi se ho qualche domanda la posso fare al Sous Chef. Inizio allora a parlare con l’Executive Chef Fabrizio Pantanida, che mentre mi parla sguscia alcuni gamberi enormi.
Appena inizio a parlare con lui Kei si avvicina, incuriosito, a questo punto posso rivolgere le domande direttamente a lui.
ale “Buongiorno Chef. Si sta divertendo al Festival di St. Moritz?”
H “Io amo fare il mio lavoro dovunque. Ci metto tutto me stesso, qui o da qualsiasi altra parte”
ale “Non si sente molto a suo agio a farsi intervistare?”
H “Preferisco cucinare”
ale “ieri sera all’Opening , il suo piatto forte è stato uno gnocco con fonduta di formaggio e tartufo. Mi sembrava un piatto italiano. Le piacerebbe aprire un ristorante in Italia e avere uno staff italiano?”
H Non lo so, gli italiani sono un po’ diversi, lavorare con loro sarebbe forse difficile per me, perché loro si fanno distrarre, pensano a tante altre cose, poi spesso si ammalano e stanno a casa” e mentre il cuoco italiano gli dà una spinta in risposta a questa affermazione lui ride. Ha 38 anni ma sembra un ragazzino e si muove in cucina con un’agilità e precisione sorprendenti”.
ale ”Dunque tra gli Chef italiani non crede che ci sia qualcuno di nota? Sempre che li conosca”
H ”Si si, ci sono Chef italiani molto bravi, mi viene in mente uno che lavora a Pisa, ma non ricordo il nome, poi mi piace il menu del ristorante Osteria francescana”
ale ”Come ha selezionato il suo staff? Come decide chi è bravo?”
H ”Io decido insieme alla brigata. La persona che lavora con me deve andare d’accordo con gli altri. Passiamo tantissime ore insieme dunque non è ammesso avere qualcuno fuori sintonia.
Per me il collaboratore valido è quello che obbedisce, che non contraddice, ma apprezzo anche chi si fa avanti a dare qualche nuovo spunto, qualche idea, che ha un po’ di intraprendenza creativa”.
ale ”Lei lo sa di essere una star? La chiamano l’enfant prodige.”
Sorride, arrossisce un pochino ma riprende sicuro
H ”Si mi piace essere una star. Potrei avere quell’auto di lusso che ieri era al Kempisky”?
ale ”Pensa di avere una debolezza in cucina?”
H ”No”
Mi fanno cenno che è meglio per Kei rimettersi ai fornelli perché il tempo stringe, lo saluto e chiedo se posso fargli una foto. Si mette in posa con lo sguardo fiero dietro una cassa di gamberoni giganti.
L’ultimo chef che ho l’onore di incontrare è Hisato Nakahigashi, titolare del ristorante a due stelle Michelin Miyamasou a Kyoto.
Suo nonno aveva aperto Ryokan Miyamasou anni prima come ostello per accogliere coloro che in pellegrinaggio si recavano a pregare nel Tempio. Hisato e sua moglie gestiscono ora questo hotel diventato anche un luogo per epicurei. L’arte di Hisato, grazie alla quale ha ottenuto due stelle Michelin è la “Tsumikusa” ovvero “appena colto” nel senso di freschezza assoluta. Lo Chef infatti ogni giorno coglie in mezzo alla natura i prodotti che utilizzerà come ingredienti nei suoi piatti.
Prima di succedere al padre come Chef in cucina, Hisato ha l’opportunità di trascorrere anni importanti a fianco di Alain Ducasse e altri esperti chefs. Dopo sei anni in Francia sente che la sua terra gli manca molto e torna in Giappone.
Non parla inglese e il suo francese è un po’ debole, per cui è accompagnato da un’interprete giapponese.
Siamo all’hotel Kulm di St. Moritz, dove Hisato cucinerà la sua Gourmet Dinner affiancato da un altro cuoco giapponese, residente nella struttura.
E’ una persona molto distinta con un sorriso caldo e la sua presenza trasmette tranquillità.
ale ”Buongiorno, grazie di dedicarmi un po’ del suo prezioso tempo, so che è impegnatissimo”
H ”Si, anzi mi scuso di averla fatta aspettare. Cosa posso raccontarle di bello, di dov’è lei?
ale”Sono di Milano”
H ”Ah Milano, sono stato all’Expo, al padiglione Giappone”
Ale ”Che idea si e’ fatto di Expo?”
H ”Mi sono fatto l’idea che agli italiani non piace la cucina giapponese. E non parlo solo dei clienti che venivano a mangiare. Anche in cucina, le persone che collaboravano sembravano non convinte affatto di quello che stavano preparando. Mi è dispiaciuto”
ale ”Eppure sa che Milano è una città di appassionati della vostra cucina, in continuazione si aprono ristoranti giapponesi. Forse Expo non era il luogo adatto per capire questo nostro feeling con voi”
H ”Davvero? Sono contento, bene”
ale ”Mi saprebbe dire qual è il segreto, la formula magica per accontentare i commensali. Credo che lei ne abbia più di una, ha ottenuto due stelle Michelin”
H ”Ogni giorno, quando arrivano nuovi ospiti, io senza farmi vedere li osservo, cerco di capire che persone sono, che gusti possono avere, e mi metto subito a pensare cosa cucinare per ciascuno e a cercare gli ingredienti per realizzare i piatti. A volte però non azzecco subito, allora se vedo che il cibo non è ben apprezzato preparo altro e lo sostituisco.
Il cliente deve sentire che lo chef pensa a lui, che quello che gli viene portato in tavola è una dedica speciale fatta con amore.”
ale”Non si stanca mai di cucinare. E’ capitato che volesse fare altro?”
H ”No mai. Sono troppo fedele al cibo”
ale”Ci sono errori imperdonabili in cucina?”
H ”No, non credo. Se lavori con il cuore, non c’è nulla che devi rimproverarti. Il segreto sta tutto nell’affiatamento che si crea tra quello che fai, i prodotti che usi, e le persone per cui prepari. E’ quest’energia che dà vita a un’esperienza sublime. Per me il servizio deve essere impeccabile, l’attenzione a tutti i dettagli è fondamentale”
ale”Cosa pensa di questa esperienza di St. Moritz?“
H ”Mi sto divertendo molto. C’è affiatamento, le persone sono molto collaborative, questo è un altro punto che sta alla base del successo in una cucina. Mi sta piacendo molto il confronto.
Vorrei dare anche un’altra chance all’esperienza in Italia, mi piacerebbe in qualche località di montagna”
ale”La aspettiamo. E mi dica, ha un punto debole?”
H ”Si, le donne, sono molto timido” e ride arrossito.
Grazie St Moritz, grazie Giappone